È venuto il momento di prendere seriamente in considerazione due affermazioni di papa Francesco che – quando le ha fatte – sono state per lo più collocate tra le battute che il Pontefice non risparmia soprattutto nei dialoghi sull’aereo di ritorno dai viaggi apostolici.
L’ idea che è oggi in corso «una guerra mondiale a pezzi» non aveva bisogno dell’invasione dell’Ucraina per assumere un peso di verità: secondo gli esperti di geopolitica i conflitti aperti nel mondo oscillano tra la trentina e addirittura il doppio, a seconda di come vengono classificati.
Immaginare che quello che avviene in Paesi, magati lontani, non abbia ripercussioni sulla vita del mondo intero significa dimenticare le strette connessioni che la globalizzazione ha indotto tra parti del mondo un tempo reciprocamente isolate.
Con l’attuale situazione dell’Ucraina la cosa è ancor più manifesta: i Paesi che riforniscono di armi gli ucraini possono considerarsi o non belligeranti? Certamente dal punto di vista tecnico o giuridico, ma dal punto di vista morale?
Come giudicheremmo chi vende un’arma a chi intende commettere un delitto? Si obietterà che si forniscono armi perché un Paese aggredito possa difendersi.
Questo può essere giusto in via di principio ma va commisurato alla proporzione dell’eventuale risposta: le dichiarazioni di esponenti ucraini che parlano di conquistare parti di territorio russo vanno esattamente nella direzione dell’allargamento del conflitto così come pare sia nelle intenzioni di Usa e Gran Bretagna, non a caso Paesi la cui posizione geografica li mette – almeno in parte – al riparo da inconvenienti immediati.
In ogni caso non si vede alcun reale desiderio di ricercare le condizioni di un cessate il fuoco, di una tregua o, ancor più, della cessazione delle ostilità e della ricerca di tavoli negoziali in cui cercare la soluzione dei problemi che hanno generato il conflitto. A questo proposito per una conoscenza della questione Ucraina è molto utile la lettura del fascicolo pubblicato dai gesuiti de “La Civiltà Cattolica” in cui sono riportate le analisi della rivista che hanno accompagnato la vita politica dell’Ucraina dalla indipendenza fino ad oggi.
Anche un’altra affermazione di Francesco merita di esser ripresa: all’inizio del suo pontificato parlò del momento presente non come di un’epoca di cambiamenti ma di un cambiamento d’epoca.
Questo cambiamento in realtà è iniziato con la caduta del muro di Berlino e la dissoluzione dell’Unione Sovietica, eventi che fecero parlare di fine della storia, avendo concentrato lo sguardo sul pluriennale conflitto occidente/comunismo sovietico ma dimenticando quello che stava succedendo in larga parte dell’universo mondiale con la crescita di nuovi soggetti con aspirazioni globali quali la Cina e l’India, per non parlare dei movimenti in corso in oriente, nel Sud America o in varie zone dell’Africa..
Fine della storia significava per questi commentatori la fine di un dualismo politico sociale e la constatazione del rimanere in campo di un unico soggetto capace di indirizzare l’intero panorama mondiale, gli Stati Uniti d’America.
Grande illusione questa e che gli anni successivi si sono presto incaricati di smontare. Gli attentati dell’11 settembre a New York hanno confutato la teoria dell’irraggiungibilità del territorio americano; le reazioni Usa con la guerra in Iraq, il sostegno alle primavere arabe, l’attacco alla Libia in buona compagnia europea…hanno dimostrato che la potenza militare americana – che resta di gran lunga la più importante al mondo – se non è guidata da politiche lungimiranti resta impantanata nei vari conflitti locali, talvolta costretta ad uscirne in maniera vergognosa come nel recente caso dell’Afghanistan.
L’esportazione della democrazia – obiettivo sia dei presidenti repubblicani sia di quelli democratici – si rivela una continua fonte di conflitti, seminagione e rafforzamento di autoritarismi di vario segno.
Certo in questi anni di pace – che peraltro hanno riguardato solo una parte di noi europei – ci eravamo abituati all’idea che la guerra moderna fosse qualcosa di meno sporco e drammatico (ricordiamo le bombe intelligenti?). Quello che succede in Ucraina è quello che ogni guerra ha documentato: in guerra si muore, si subiscono ferite e danni irreversibili, ci si nutre di un odio che fa compiere azioni che – a guerra finita – non si vorranno neppure ricordare. La guerra non risolve nessuno dei problemi per cui è fatta perché il vincitore – se mai ce ne sarà uno – dovrà sempre temere il risentimento e la rivincita possibile dello sconfitto.
Il cambiamento d’epoca è già qui per la rottura di equilibri internazionali che, per quanto precari, avevano garantito un certo grado di stabilità, ma sarà ancora più evidente al termine delle operazioni militari.
I dopoguerra non sono meno pericolosi dei conflitti: la fine della prima guerra mondiale e gli accordi di pace che ne seguirono –orientati all’umiliazione dei Paesi sconfitti – sono stati il seme che ha generato fascismo e nazismo e portato al grande dramma della seconda guerra mondiale con le stragi di civili (i bombardamenti a tappeto sulle città sono stati compiuti dai nazisti come dai sovietici come dagli alleati, (pensiamo a Coventry, Varsavia, Dresda per non parlare di Hiroshima e Nagasaki); non sono un’invenzione di oggi.
Ma dopo il secondo conflitto dal cuore dell’Europa sono scaturiti uomini politici che hanno saputo privilegiare le ragioni della pace e della convivenza tra nazioni un tempo in guerra tra loro rispetto alla vendetta e all’umiliazione del nemico. Questo ha consentito lo sviluppo e la pace dell’Europa libera.
Auguriamoci che esistano ancora uomini così nel cuore profondo dei Paesi europei e che l’insistenza del Papa li faccia uscire allo scoperto.
(Statua di Mahatma Gandhi (credit da Pixabay)